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RESEZIONE EPATICA LAPAROSCOPICA

L’approccio laparoscopico nella resezione epatica si sta affermando negli ultimi due decenni in tutto il mondo per la patologia benigna e, negli ultimi anni, anche per i tumori maligni del fegato primitivi e secondari.
Tale approccio “mini-invasivo” comprende la tecnica laparoscopica cosiddetta “pura”, la tecnica “hand-assisted” e l’approccio “ibrido”, che consiste in una iniziale mobilizzazione del fegato per via laparoscopica per poi proseguire e completare la transezione parenchimale attraverso un piccolo accesso laparotomico, che verrà poi utilizzato anche per estrarre il pezzo operatorio.
Nonostante l’approccio “mini-invasivo” abbia preso piede in molti ambiti della chirurgia, nella patologia epatica maligna ha incontrato diverse resistenze dovute in primis alla difficoltà di riprodurre le tecniche utilizzate a cielo aperto per la mobilizzazione del fegato e la transezione del parenchima epatico (e quindi la necessità di una grande esperienza ed abilità sia nella resezione epatica open sia nelle tecniche laparoscopiche), alla difficoltà nel controllo dell’emorragia, al rischio di embolia gassosa conseguente allo pneumoperitoneo e, non ultimi, al rischio di non radicalità oncologica e di “seeding” di cellule tumorali nei siti di accesso della laparoscopia che potrebbero compromettere la sopravvivenza a medio e lungo termine.

Si credeva inoltre che le alterazioni emodinamiche e della coagulazione tipiche del paziente cirrotico rendessero ulteriormente rischioso l’approccio laparoscopico alla resezione epatica.
Nel 1992 Gagner et al. riportarono i primi casi di resezione epatica video-laparoscopica non-anatomica in due pazienti affetti l’uno da iperplasia nodulare focale e l’altro da metastasi epatiche da carcinoma colo-rettale.
Qualche anno dopo, Azagra et al. pubblicarono la prima resezione epatica anatomica (left lateral segmentectomy) eseguita per via laparoscopica.
Sebbene non ci siano al momento attuale indicazioni ritenute assolute alla resezione epatica laparoscopica, generalmente viene presa in considerazione per lesioni di piccole dimensioni (≤ 5 cm di diametro), periferiche, non in stretta contiguità con i vasi epatici (rami principali dell’arteria epatica, della vena porta e delle vene sovraepatiche). Nella maggior parte dei casi si tratta di resezioni epatiche non anatomiche (wedge resections), ma negli ultimi anni sono sempre di più le resezioni epatiche anatomiche (segmentectomie e tri-segmentectomie nella maggior parte delle casistiche) eseguite per via laparoscopica.
La laparoscopia viene in genere riservata alla resezione delle lesioni situate nei segmenti anterolaterali del fegato (II, III, IVb, V e VI), più facilmente accessibili, mentre viene considerata di più difficile esecuzione per le lesioni dei segmenti postero-superiori (I, VII, VIII e IVa). Ciononostante, negli ultimi anni sono stati pubblicati alcuni studi riguardanti anche la resezione video-laparoscopica del I segmento epatico o lobo caudato generalmente ritenuto di difficile approccio laparoscopico per la posizione anatomica e gli stretti rapporti con l’ilo epatico e la vena cava inferiore; tali studi hanno evidenziato complicanze intra- e post-operatorie, oltre a perdite intraoperatorie trascurabili senza necessità di trasfusioni ematiche, ed un decorso post-operatorio, caratterizzato da una rapida mobilizzazione, e una degenza confrontabili con quelle di resezioni epatiche tecnicamente ritenute più favorevoli.
Gli studi clinici attualmente disponibili sono studi comparativi caso-controllo o studi retrospettivi non randomizzati che confrontano i benefici a breve, medio e lungo termine in gruppi selezionati di pazienti sottoposti a resezione epatica laparoscopica e laparotomica per tumori maligni primitivi e secondari del fegato.
Da questi studi emerge che, rispetto alle resezioni epatiche a cielo aperto, le resezioni laparoscopiche sono associate a minori perdite ematiche intraoperatorie e di conseguenza a minore richiesta di trasfusioni di sangue, indicatori generalmente associati ad una maggiore morbidità post-operatoria nel paziente cirrotico, a fronte di tempi operatori sostanzialmente sovrapponibili.
Il tasso di conversione laparotomica, dovuta a sanguinamento o a difficoltà tecniche, nelle casistiche disponibili varia dallo 0 al 20%, e si sta riducendo negli ultimi studi grazie all’acquisizione di maggiori abilità nell’utilizzo della laparoscopia.
Alcuni studi hanno dimostrato, nelle resezioni epatiche laparoscopiche, un minor dolore post-operatorio, misurato come richiesta di analgesici da parte del paziente, una minore incidenza di complicanze post-operatorie (leak biliare, sanguinamento, complicanze di ferita) e una minore degenza post-operatoria, che si traducono in una più precoce ripresa delle attività quotidiane.
Nessuna differenza invece è emersa in termini di mortalità post-operatoria a 30 giorni dall’intervento, di sopravvivenza globale (Overall Survival) a 3 e a 5 anni e di sopravvivenza libera da malattia (Disease Free Survival) tra i due gruppi di pazienti.
Non è stato riportato alcun caso di disseminazione (seeding) di malattia in corrispondenza dei siti di accesso della laparoscopia né a livello peritoneale.
Grazie all’ausilio dell’ecografia intra-operatoria che permette di confermare il numero e le dimensioni delle lesioni epatiche, è possibile ottenere adeguati margini di resezione dalla neoplasia e di conseguenza una radicalità oncologica sovrapponibile, e in qualche caso addirittura migliore, rispetto alle resezioni epatiche laparotomiche.
Non è sta individuata alcuna differenza in termini di recidiva di malattia nelle due tipologie di intervento.
Da non dimenticare che l’approccio mini-invasivo, consentendo una più rapida ripresa nel post-operatorio, consente un precoce inizio della chemioterapia adiuvante, qualora fosse necessario.
Con particolare riferimento all’epatocarcinoma, è importante ricordare che nei pazienti affetti da tale patologia molto spesso concomita una epatopatia sottostante.
I pazienti con cirrosi epatica candidati alla resezione epatica laparoscopica sono generalmente pazienti in buon compenso (Child-Pugh A), senza o con segni minimi di ipertensione portale (varici esofagee F1, livelli ematici di piastrine >80000/L, ASA score ≤3).
L’approccio laparoscopico nelle resezioni epatiche è stato associato ad una minore frequenza di ascite nel post-operatorio e ad una maggiore stabilità nel post-operatorio, in termini percentuali, della funzionalità epatica e renale, del MELD-score (Model for End-stage Liver Disease) e del Child-Pugh-Turcotte score, verosimilmente dovuta alla preservazione dei circoli collaterali di parete e contenuti nel legamento rotondo, e ad una minore manipolazione del fegato durante le manovre di mobilizzazione, resi possibili solo da un approccio mini-invasivo.
Infine, è emerso che i pazienti sottoposti a trapianto di fegato dopo resezione epatica laparoscopica hanno richiesto un minor supporto trasfusionale e tempi operatori più brevi, per quanto riguarda la fase demolitiva, rispetto ai pazienti che erano andati incontro precedentemente ad una resezione epatica open.
In conclusione, dai dati riportati emerge un sostanziale beneficio a breve e lungo termine dell’approccio laparoscopico rispetto a quello laparotomico nelle resezioni epatiche per tumori primitivi e secondari del fegato, in pazienti accuratamente selezionati.

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